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Black Mirror – 2×03 – The Waldo Moment

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“Let the people vote thumbs up, thumbs down, the majority wins. That’s a democracy.”

So’s YouTube and I don’t know if you’ve seen it but the most popular video is a dog farting the theme tune to Happy Days.”

Per l’episodio finale della seconda stagione, Black Mirror decide di tornare agli scenari puramente fantapolitici da cui era partito – con il disturbante The National Anthem  – il suo percorso di spietata critica dei media. Lo fa esplorando nuovamente gli ambienti del giornalismo e della politica, all’interno dei quali un nuovo elemento virale e perverso inizia a gonfiarsi fino a esplodere inevitabilmente sul finale.

Mentre in The National Anthem il fattore virale era costituito dal video del rapitore della principessa Susannah, con la sua particolare e scandalosa richiesta nei confronti del Primo Ministro inglese, in The Waldo Moment si parte con un semplicissimo tormentone: Waldo è un personaggio fittizio (come il Pulcino Pio o il Pinguino Pino), un volgarissimo orsetto blu animato digitalmente (e in diretta) dal suo creatore, il trentatreenne Jamie Salter, descritto continuamente come un comico “mediocre” e fallito, disgustato dalla politica e dal suo lavoro. L’introduzione di Jamie è quanto mai emblematica della mancanza di sottigliezza della narrazione, un difetto tipico della serie fin dagli esordi, ma diventato solo quest’anno realmente invasivo e deleterio (mi riferisco più al fallimentare e pretenzioso White Bear che all’ottimo Be Right Back). In pochi secondi veniamo “esposti” (la conversazione al telefono con la sua ex ragazza) alla mancanza di autostima e di affetti di Jamie, e al suo complesso d’inferiorità verso Waldo e il “suo” successo, dal quale non riesce a trarre motivi di orgoglio.

Un po’ più “enigmatica” (all’apparenza, in realtà solo più inconsistente ed esile dal punto di vista narrativo) la vicenda parallela di Gwendolyn Harris, una giovane aspirante parlamentare, intraprendente e politicamente impegnata (anche se in tutta la puntata non la vediamo esprimere nessuna idea concreta). Dopo le dimissioni del parlamentare conservatore Jason Gladwell – in seguito a una “corrispondenza” di natura sessuale con una quindicenne (scandalo venuto a galla su twitter) – Gwendolyn viene scelta come candidata del partito Laburista (di centrosinistra) per le elezioni suppletive. Come suo avversario troviamo la tipica macchietta del politico falso e “navigato”, tale Liam Monroe, che cerca inutilmente di ignorare le continue volgarità di Waldo, da cui viene seguito come un’ombra. Artificioso e poco sorprendente anche l’incontro tra Jamie e Gwendolyn, che una sera si conoscono, si prendono in simpatia e tra un bicchiere e un altro si concedono una piccola parentesi di onestà. Dopo aver passato la notte insieme, però, i due vengono separati dal clima elettorale, che impone a lei di stargli alla larga. Risentito, Jamie userà il suo Waldo per reagire sia agli attacchi personali di Monroe che al doloroso distacco di Gwendolyn, nel più prevedibile dei conflitti narrativi possibili.

“Something’s got to change. No-one trusts you lot cos they know you don’t give a shit about anything outside your bubble.”

Da qui inizia la scontata spirale discendente di Jamie, che dopo aver visto Waldo crescere da semplice inserto di un (altrettanto volgare) programma satirico a show indipendente, assiste al successivo e definitivo salto nel campo della politica. In una ridicola sequenza dai toni “oscuri”,  il volgare orsetto blu viene a configurarsi come il burattino politico definitivo nelle mani di una non meglio specificata “Agenzia” (la CIA?) , che ne vuole esportare il modello in tutto il mondo; un tentativo derisibile di suscitare il “brivido” tipico della serie. Quando Jamie cerca di sottrarsi a questo ennesimo sconfinamento del brand, capisce di non possedere legalmente il personaggio di Waldo e si affretta quindi a non mollarne la presa, almeno non prima del definitivo confronto con Gwendolyn, alla quale prova inutilmente a chiedere scusa.

Forse la stavate aspettando con ansia, ma mi sono sentito quasi in dovere di non portare al centro del discorso su questa puntata la similarità tra Jamie/Waldo e il nostro Beppe Grillo, con i suoi famosi “vaffa” e la sua ricetta di anti-politica (“mandiamoli tutti a casa”). Onde evitare di fare gli stessi errori di Jamie, vorrei cercare di non sconfinare in questioni che non competono Serialmente e di non esprimere in questa sede alcun giudizio politico, anche perché l’assonanza c’è ma è così esile e superficiale che non credo porterebbe da nessuna parte.

“He has nothing to offer and he has nothing to say.”

La mancanza di profondità della puntata si rispecchia sia nel trattamento dei personaggi (abbozzati e stereotipati), sia nelle dinamiche narrative, prevedibili e dagli esiti scontati. Anche la parte politica – nonostante gli evidenti richiami alla realtà britannica –  appare semplicistica e troppo “astratta”, forse per un tentativo di generalizzare i concetti di base e di renderli quanto più “universali” possibile. In ogni caso dove The Waldo Moment fallisce miseramente è nel descrivere la presa di Waldo sulla gente, tratteggiata ancora una volta a grandi linee come volgare, ignorante e violenta. Si può intuire sicuramente come l’uso di un linguaggio di bassa lega abbia fatto di Waldo l’eroe della classe meno istruita, e di come gli insulti alla classe politica abbiano attirato un’altra fetta di elettori, ma rimane tutto in superficie, abbozzato come un cartone animato per bambini. Inoltre non si avverte alcuna rabbia per le istituzioni da parte della gente, e gli scontri politici sono troppo generici e vuoti. L’unica pista seguita fino in fondo è quella della trivialità e dell‘inutilità/dannosità di Waldo, chiara fin dal primo istante e via via sempre più esasperante. Alla fine Monroe vince le elezioni e Waldo arriva secondo, superando Gwendolyn. Non viene mai realmente posta la questione di un parlamentare “virtuale” (liquidata subito con qualche battuta), e quando dopo i titoli di coda assistiamo al “tragico” e banalissimo epilogo (Waldo esportato in tutto il globo, Jamie in mezzo alla strada e un violento corpo di polizia a suggerire l’idea di un futuro distopico), non sappiamo cosa c’è stato in mezzo.

Charlie Broker sembra non poter fare a meno di caricare tutto oltre il grottesco, con una spietatezza eccessiva che trasuda non solo (e non tanto) moralismo (come aveva ipotizzato Aldo Grasso in occasione della prima stagione), quanto disprezzo allo stato puro. Paradossalmente la sua critica degli eccessi risuona anch’essa eccessiva ed esasperata, un veleno non sempre capace di tradursi in fase di scrittura in qualcosa di abbastanza elaborato e profondo. E se lo scorso episodio poteva quantomeno contare su un plot twist degno di nota, stavolta la narrazione procede fino alla fine col pilota automatico, senza nessun reale guizzo creativo. Un gran peccato, perché gli argomenti di partenza e le idee anche quest’anno erano molto valide e solo in fase di sviluppo (in questo episodio soprattutto) hanno avuto diversi problemi a centrare il bersaglio, preferendo l’utilizzo di scorciatoie e strade già battute. Anche se possiamo ancora scorgervi il nostro inquietante riflesso, lo specchio nero stavolta sembra essersi rotto sul serio.

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